La seconda opera illustrata (e, non avendo trovato informazioni sull’autore, immagino anche scritta) da Enrico Valenza che andiamo ad analizzare è Dinosauri di tanti anni fa (Giunti). A differenza del precedente libro, questo è un romanzo e narra la storia di un ragazzino che attiva per errore la macchina del tempo presente in cantina (piacerebbe anche a me!), ritrovandosi così 80 milioni di anni fa. In realtà la storia è poco più che un raccordo tra le illustrazioni di Valenza.
Anche in questo libro, Valenza continua la tradizione di mescolare animali provenienti da ambienti e periodi diversi. È un Cretaceo abbastanza fantastico, quello delle illustrazioni, ma d’altronde è un Cretaceo in cui si può viaggiare con una macchina del tempo trovata in cantina. È un Cretaceo bello da guardare, come in questa illustrazione dall’ardita prospettiva dal basso verso l’alto. I due sauropodi, nonostante la stazza, quasi si confondono in mezzo agli alberi, e contro lo sfondo freddo della foresta spicca la livrea del piccolo Maiasaura. L’opossum in secondo piano è parte di un trend del periodo di ritenere alcuni animali odierni originatisi già nel Mesozoico. Lo rivedremo ancora.
Un paio di pagine dopo, il passaggio è bloccato da un branco di Triceratops, un’immagine che a guardarla ricorda un po’ quella descritta in Il mondo perduto di Crichton. Indubbio il merito artistico dell’illustrazione, con il contrasto tra Triceratops illuminati dal sole e i predatori che li osservano dall’ombra, con un gioco di luci frastagliate che rendono quasi impossibile capire dove si sta guardando la colorazione dell’animale e dove l’effetto del sole e delle ombre che proiettano. Il piumaggio di Velociraptor in primo piano è decisamente scarno per gli standard odierni, ma per il 2000 si trattava di un’immagine abbastanza rivoluzionaria per un testo divulgativo. Era il periodo in cui l’arte non sapeva benissimo come comportarsi con il piumaggio dei dinosauri, e nello stesso libro troviamo dromaeosauridae completamente piumati (Sinornithosaurus), parzialmente piumati (Velociraptor) o privi di piume (Utahraptor). Anche Albertosaurus merita una menzione, anche se si vede ben poco, perché le teste che sbucano dalla vegetazione hanno una chiara morfologia da Albertosaurino, in contrasto con certe illustrazioni in voga all’epoca e ancora oggi che lo raffigurano come un generico clone di Tyrannosaurus.
Giunto in riva ad un lago, il protagonista si stupisce di osservare alcuni Iguanodon, osservando che avrebbero dovuto essere estinti da milioni di anni. La cosa però vale per gran parte della fauna già mostrata, salvo gli animali che dovevano ancora apparire nel Campaniano. Saltasaurus è una specie di ospite fisso nei libri degli anni 90’ come “unico sauropode corazzato”, ma ha dovuto cedere il passo più di recente a suoi parenti più impressionanti per taglia o ornamentazione. Quelli nell’immagine stanno minacciando Iguanodon per proteggere i propri nidi: il conflitto tra specie vegetariane è un tema interessante che purtroppo non viene spesso esplorato nella paleoarte, preferendo assumere che dato che non si mangiano l’un l’altro debbano per forza andare d’amore e d’accordo. A fare da contrasto con i nidi di Saltasaurus (ok, dovete immaginarveli) è quello di Avimimus in primo piano. Avimimus non è esattamente come lo rappresenteremmo oggi, ma in anni in si poteva trovare ancora la bizzarra ricostruzione “Archaeopteryx terrestre” di Sibbick, è sorprendentemente moderno. Ah, e Didelphodon. Può ringraziare WWD per i suoi cinque minuti di gloria.
Sempre nidi in questa illustrazione di una colonia di Maiasaura. Qui finisce l’autostop del piccolo che abbiamo incontrato poco sopra, adottato da un’altra femmina adulta. Un’immagine forse troppo mammaliana per gli standard odierni, ma il 2000 era ancora in pieno “rinascimento dei dinosauri”. La colorazione di Maiasaura ricorda un po’ una vacca Simmental, una colorazione a chiazze che enfatizza l’uso di variegature tipiche di Valenza, che a loro volta si sposano bene con l’eleganza degli adrosauri. Dentro al lago ci sono un paio di Parasaurolophus, che condividono l’anatomia, anche se non il colore, con quello che abbiamo visto nella scorsa recensione. Nella scena ci sono anche degli ornitorinchi, che fanno uno strano effetto: la loro presenza si spiega con il fatto che fino al 2016 le relazioni di due monotremi fossili australiani non erano chiare (uno di questi, Steropodon, è l’animale che nel quinto episodio di Walking With Dinosaurus è rappresentato da un coati odierno). Naturalmente, attorno ai nidi gravita anche Oviraptor. La sedicesima regola della paleoarte è che dove c’è un nido c’è un Oviraptor.
La scena seguente è molto più cupa: il protagonista, abbandonato dal piccolo Maiasaura (e da un pantoterio che aveva parimenti scroccato un passaggio), contempla il proprio destino sperduto nel Cretacico. L’illustrazione segue questo tono, con i raggi di sole che filtrano tra gli alberi che non riescono a scacciare l’impressione che la foresta sia un ambiente ostile e inospitale. Impressione accentuata dai misteriosi teropodi senza nome appollaiati sugli alberi. Errori nella morfologia delle ali a parte, hanno un’aria davvero malefica. Altro che Indoraptor! Senza contare il gruppo di Dromiceiomimus (oggi opinabilmente Ornithomimus, dipende a chi si chiede): non il dinosauro che uno si aspetterebbe più spaventoso, eppure quegli occhi luminosi hanno un che di inquietante. Invece particolarmente bella è la coppia di Erlikosaurus. Credo sia la prima volta che in un libro italiano viene rappresentata una simile varietà di terizinosauri (nelle altre pagine ci sono anche Segnosaurus e Beipiaosaurus) con un’anatomia fondamentalmente coerente con l’immagine attuale. Sì, le zampe anteriori hanno l’orientazione sbagliata rispetto all’avambraccio, ma i piedi poggiano correttamente su quattro dita, un dettaglio che spesso passa in secondo piano. Gli Amargasaurus sullo sfondo sono alcuni dei sauropodi che hanno rubato lo show a Saltasaurus. Quello di profilo dà l’idea di avere una sola fila di spine neurali allungate, ma quello in visione frontale chiarisce che sono sovrapposte. Ultimo è il Pachycephalosaurus in primo piano, più tradizionale di quello apparso nel precedente volume.
Per rasserenarvi, vi dirò che il protagonista riesce a tornare sano e salvo nel presente, non dopo essere sfuggito ad un gruppo di Utahraptor. Se volte ammirare il resto delle illustrazioni, non vi resta che cercare questo libro (purtroppo da tempo fuori catalogo) tra le bancarelle o nei siti di libri usati. Noi invece ci rivediamo tra due settimane, con un altro libro illustrato da Valenza!