HUANGHETITAN (PNSO, 2016)

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PNSO esordisce sul mercato nel 2016 con le immagini di cinque modelli: Shantungosaurus, Mandschurosaurus, Lufengosaurus, Euhelopus e Huanghetitan. Di questi cinque PNSO originari, il più grande è indubbiamente Huanghetitan. Alcuni direbbero che è appropriato, essendo Huanghetitan un titanosauriforme, il clade a cui appartengono i sauropodi più grandi – ma anche i più piccoli. I Titanosauriformes, infatti, sono un gruppo dall’enorme diffusione geografica e temporale, essendo stati rinvenuti in tutti i continenti e in rocce che vanno dalla fine del Giurassico alla fine del Cretaceo. Una buona metà dei sauropodi conosciuti è classificata come titanosauro, e ad una simile varietà di specie doveva corrispondere un’uguale varietà di forme ed ecologie. Peccato che la maggior parte dei resti sia frammentaria e molte specie siano classificate sulla base della laminazione delle vertebre: un carattere indubbiamente diagnostico (la laminazione delle vertebre tra le varie specie di sauropodi è più o meno come le impronte digitali tra individui di Homo sapiens), però non molto utile per ricostruirne l’aspetto in vita. Anche Huanghetitan è stato colpito dalla maledizione del record fossile incompleto e, come vedremo, farci un’idea del suo aspetto può essere incredibilmente difficile.

Il genere Huanghetitan è stato istituito nel 2006 (You et al.) con la specie tipo H. liujiaxiaensis. Nel 2007 è stata descritta una seconda specie, “H.” ruyangensis Lu et al. 2007 – le virgolette indicano che altre analisi hanno indicato che in realtà questa specie occupa una posizione distinta da H. liujiaxiaensis e che quindi andrebbe ascritta ad un nuovo genere (Mannion et al. 2013). La filogenesi dei titanosauri si regge su un equilibrio delicato, ma le analisi in cui è comparso tendono a concordare che Huanghetitan appartiene al marasma dei titanosauriformi non titanosauri (è giusto fuori da Titanosauria in Averianov et al. 2017). Entrambe le specie sono piuttosto incomplete (due caudali, il sacro, frammenti delle costole e una scapola per H. liujiaxiaensis, il sacro, le prime dieci caudali, alcune costole e archi emali e parte dell’ischio “H.” ruyangensis) ma possiamo ricostruire questo animale dalle specie affini, no? Beh, qui sorge il problema: il somfospondilo (il gruppo immediatamente fuori da Titanosauria) più completo è indubbiamente Euhelopus, peccato che in una recente analisi (Moore et al. 2020) questo particolare genere abbia deciso di fare armi e bagagli e attraversare l’albero genealogico per tornare in compagnia di Mamenchisaurus e Omeisaurus (tra i quali era classificato nel secolo scorso), lasciandoci con un pugno di mosche con cui lavorare per Huanghetitan. Quindi la soluzione adottata per questa recensione è di trattare il modello PNSO come un titanosauro generico.

I problemi nel ricostruire un sauropode partono dal cranio: comparativamente piccolo rispetto al corpo e alleggerito da finestre, è una delle parti più fragili dello scheletro di un sauropode, tanto che al giorno d’oggi conosciamo il cranio di sole cinque specie di titanosauro: Nemegtosaurus, Rapetosaurus, Tapuiasaurus, Bonitasaura e Sarmientosaurus. La forma del cranio del modello, che ricorda un incrocio tra quello di un macronariano basale (tipo Brachiosaurus) e un diplodocide e visto dall’alto presenta una strozzatura prima degli occhi che lo fa apparire simile ad un “8”, ricorda in particolare quello di Nemegtosaurus, Tapuiasaurus e Rapetosaurus, con mascelle e mandibole profonde e denti limitati alla porzione anteriore del muso che danno al cranio un profilo caratteristico (la forma ad “8” rappresenta un adattamento ad aumentare la dimensione del boccone che era possibile raccogliere). Mentre quelli di Tapuiasaurus e Nemegtosaurus sono abbastanza simili tra loro, Rapetosaurus ha cranio più basso, denti estesi più posteriormente e una finestra anteorbitale enorme, ma una volta ricoperti di un tegumento conservativo (poi si può speculare quanto si vuole sulla presenza di sacche e altre strutture molli) questi tre titanosauri non dovevano apparire diversissimi. Il cranio più adatto per ricostruire Huanghetitan sarebbe probabilmente stato quello di Sarmientosaurus, che occupa una posizione più basale ed è intermedio tra quelli “nemegtosauridi” e un macronario come Brachiosaurus, tuttavia questo animale è stato descritto solo nel 2016 – troppo tardi per PNSO.

I denti non sono visibili, coperti da strutture assimilabili alle labbra, mentre le narici sono nella posizione appropriata, vicino alla punta del muso: nonostante le aperture nasali dei titanosauri fossero arretrate – probabilmente un adattamento per rinforzare la parte anteriore del cranio, che ora è composta da osso solido – la loro posizione (come mostrato da Witmer, 2001) non corrisponde a quella che avevano le narici esterne quando l’animale era in vita. A differenza degli altri quattro PNSO originari, il cranio mostra scarsi segni di shrinkwrapping, con una mandibola che sembra connettersi direttamente al collo attraverso i muscoli masticatori (relativamente robusti in confronto ad altri sauropodi). Gli occhi sono colorati con una vernice oro metallizzata, come nei famosi Carnegie, e – tocco interessante – la pupilla sembra essere orizzontale: un tratto comune in molti mammiferi brucatori attuali, perché permette una maggiore percezione del pericolo mentre l’animale è intento ad alimentarsi, ma non possiamo sapere se fosse un tratto anche dei sauropodi, dato che nessun mammifero attuale foraggia alla loro altezza. Specifico anche che potrebbe trattasi, piuttosto che di speculazione, di un errore dovuto ad una pittura frettolosa nel mio esemplare.

Nessuna cervicale di Huanghetitan si è preservata, quindi, come il cranio, anche la lunghezza del collo è del tutto speculativa. Se confrontato con l’Euhelopus PNSO, comunque, si ha subito un’impressione di positiva robustezza: si tratta di una struttura massiccia, larga due volte il cranio e dove le vertebre non sono visibili ma ogni tanto si possono distinguere al tatto (non impossibile, tenendo conto di quanto spesse sono le vertebre di altri titanosauri). La base del collo è ricca di pieghe di pelle, tanto che non escluderei che ci sia una saldatura da qualche parte, ma è ben nascosta. Dove il collo si attacca al corpo, la scapola è intuibile più per il cambiamento nell’orientazione delle pieghe e nel colore che perché sporga particolarmente in fuori, ad eccezione della parte più dorsale della scapola stessa. Ma anche in quadrupedi moderni come gli elefanti non vi è molto tessuto in quella posizione; i mammiferi non sono mai la migliore analogia per i dinosauri, ma in questo caso non sembra troppo sbagliato. Il tronco a botte è particolarmente robusto: in molte forme, infatti, il processo paracetabulare dell’ilio sporge verso l’esterno di quasi 90 gradi, per fornire un maggior ancoraggio ai tendini che sorreggevano l’addome. Questo fa sì che, per conseguenza, i titanosauri abbiano arti più spaziati della maggior parte dei sauropodi.

Gli arti anteriori sono robusti e a forma di colonna e la muscolatura, seppure presente, non è esagerata (a differenza, ad esempio, del Brachiosaurus Papo, che non ha saltato un giorno di palestra). La mano è a forma di ferro di cavallo e non è possibile distinguerne le dita, con un’eccezione: il primo dito presenta un grande artiglio, che si ipotizza fosse utile nello scavo e per sferrare pericolosi calci ai predatori. Questo tratto è un lascito degli antenati triassici dei sauropodi, bipedi dotati di grandi artigli a forma di falce nel primo dito della mano, che mantennero nel passaggio ad una postura quadrupede. Nella linea che ha portato ai titanosauri più derivati, però, questa funzione è gradualmente passata in secondo piano e gli ultimi titanosauri del Cretaceo, come Opisthocoelicaudia, non solo avevano perso l’artiglio, ma avevano rinunciato completamente alle dita, camminando sulle ossa metacarpali (quelle che compongono il polso). Huanghetitan è ancora un titanosauriforme primitivo e quindi non è sviluppato in maniera così estrema: non abbiamo ossa della mano, ma il titanosauro Diamantinasaurus mostra ancora il grande artiglio, quindi è probabilmente corretto che PNSO l’abbia messo.

A differenza degli arti anteriori, quelli posteriori dei sauropodi erano quasi plantigradi, per meglio distribuire il peso, e nei Neosauropodi dotati di tre artigli incurvati verso l’esterno. E qui sorge un piccolo problema, perché nel piede destro l’Huanghetitan PNSO ne ha quattro. Nel sinistro tre. Svista dello scultore? Volontà di rappresentare un esemplare mutante? Ho anche trovato una menzione di una possibile traccia serie di impronte con quattro artigli nella stessa provincia ma, essendo impossibile risalire alla pubblicazione e quindi a qualsiasivoglia datazione, potrebbe non trattarsi di un neosauropode. Lungo gli arti posteriori sono presenti quattro saldature, e devo dire che, per quanto non invisibili, sono comunque meno invasive e fastidiose di altre.

La saldatura più invasiva, infatti, si trova alla base della coda. Almeno nel mio esemplare, infatti, le due parti non combaciano perfettamente e c’è un millimetro circa che non è scolpito e corre attorno all’animale. Per fortuna, le dimensioni del modello vengono in nostro aiuto e, su 70 cm di lunghezza, un millimetro è abbastanza semplice da ignorare. Passiamo alla coda stessa? È abbastanza robusta? I caudofemorali non sono mai abbastanza, però un certo sforzo lo si è fatto e si vede, in sezione la coda si approssima alla circonferenza. Alla base si distingue la cloaca, che è sempre un dettaglio che denota attenzione. Per quanto riguarda la lunghezza della coda, sembra adeguata.

I titanosauri sono famosi anche perché, unici tra i sauropodi, possedevano osteodermi (ossificazioni di origine dermica) infissi nella pelle. I lettori più anziani ricorderanno sicuramente le illustrazioni di Saltasaurus degli anni ’80-’90, dove sembrava che avesse scuoiato un anchilosauro e ne indossasse la pelle come Ercole. Fortunatamente, la rappresentazione nel modello PNSO è più realistica: a partire dalla base del collo, sulla superficie dorsale della schiena, c’è un mosaico di grossi osteodermi circondati da osteodermi più piccoli, evidenziati da una lavatura chiara che si è andata ad insinuare negli interstizi (un po’ come l’Ankylosaurus PNSO) e sono davvero ben scolpiti: non sono semplici borchie, ma presentano rugosità e carenature. Ora, non sappiamo se Huanghetitan possedesse o meno osteodermi (sono esclusivi di un particolare clade di titanosauri definiti Lithostrotia), ma considerando il modello un titanosauro generalizzato sono sicuramente accattivanti. Borchie corrono anche vicino alla spalla, al bacino e al polso, ma – non essendo evidenziate dalla lavatura – non saprei dire se vogliono essere anch’essi osteodermi oppure solo squame particolarmente grosse. Nelle aree sicuramente libere dagli osteodermi è presente un fitto mosaico di squame (probabilmente troppo grandi, dato che le più grandi squame si sauropodi si attestano sui 6 cm, ma gradevoli alla vista), nonché pieghe e solchi della pelle; pieghe particolarmente lasse si trovano tra fianco e addome e sul collo.

La colorazione – come si può constatare – non è nulla di emozionante: il lavoro migliore è stato svolto sulla testa e sugli osteodermi, mentre il resto del corpo è dipinto con una certa approssimazione. Non avrebbe esagerato estendere la lavatura al resto del modello per far risaltare i dettagli (soprattutto confrontando la colorazione con quella esposta alle mostre PNSO), ma di nuovo ci vengono in aiuto le sue dimensioni, che aiutano a sfumare la colorazione nel contesto d’insieme. Ma quanto grande è questo Huanghetitan? Il modello misura 69 cm per di altezza, ma se state già pensando che deve pesare una tonnellata, siete fuori strada: l’Huanghetitan PNSO è realizzato in vinile e cavo internamente: probabilmente qualsiasi modello di stazza consistente (come uno dei vecchi sauropodi Carnegie) nella vostra collezione è più pesante. In che scala è? Beh, dipende. Se lo consideriamo H. liujiaxiaensis, si tratta probabilmente di un animale in scala 1:18 (Molina-Pérez e Larramendi, 2021 lo stimano lungo circa 18 metri). Le stime per “H.” ruyangensis invece variano, da Paul (2019) che ipotizza la stessa stazza di Patagotitan, ai più conservativi Molina-Pérez e Larramendi (2021) che invece lo limitano a “soli” 24 metri per una trentina di tonnellate di peso, rendendolo in scala circa 1:25.

In definitiva, pur non potendo sapere quanto questo modello effettivamente sia accurato per Huanghetitan, resta una delle migliori raffigurazioni di un sauropode sul mercato e, per via della scarsa conoscenza che abbiamo dei titanosauri, è notevolmente versatile e può occupare nella vostra collezione il posto di altri enormi titanosauri (es. Argentinosaurus) con un certo grado di verosimiglianza. Il modello è attualmente ritirato dal commercio, ma è possibile ritrovarlo ancora su ebay o Aliexpress, da venditori di terze parti.

Bibliografia:

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Molina-Pérez R.; Larramendi A. Dinosaur Facts and Figures: The Sauropods and Other Sauropodomorphs. Princeton, Princeton University Press, 2020. 272 pp.

Moore, A.J.; Upchurch, P.; Barrett, P.M.; Clark, J.M.; Xing, X. (2020). Osteology of Klamelisaurus gobiensis (Dinosauria, Eusauropoda) and the evolutionary history of Middle–Late Jurassic Chinese sauropods. Journal of Systematic Palaeontology. 18 (16): 1299–1393

Paul, G. S. (2019). Determining the largest known land animal: A critical comparison of differing methods for restoring the volume and mass of extinct animals. Annals of the Carnegie Museum. 85 (4): 335–358

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deviantart.com/paleo-king/art/So-you-want-to-draw-Huanghetitanids-651491444

deviantart.com/paleo-king/art/Paluxysaurus-jonesi-hi-fi-skeletals-681382243

L’autore desidera ringraziare gli utenti Titanosaurus indicus, Prehistoric King e Cretaceous Barosaurine (fadeno) del server Discord Sauropodomorpha per il loro contributo.

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